📕📕 Il Club del libro “Lassù in collina e …della crostata al bicarbonato”  si è incontrato il 10 luglio al parco di Colle Renazzo di San Silvestro a Pescara.

Alla luce del tramonto, davanti al suggestivo panorama di Pescara, le lettrici del Club hanno condiviso  animatamente pensieri ed emozioni  sulla lettura del romanzo “Le madri non dormono mai” di Lorenzo Marone.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Trama

Un intenso e struggente romanzo corale, un cantico degli ultimi che si interroga, e ci interroga, su cosa significhi davvero essere liberi o prigionieri. 

Una narrazione  di storie di donne, uomini  e bambini  che si snodano dentro e fuori l’ ICAM,  Istituto a custodia attenuata per  madri detenute, che per qualcuno è migliore  perfino di una casa. 

   Incipit

Al camion rosso mancava una ruota posteriore, cosí di camminare non era piú capace, arrancava zoppo, ricordava un vecchio che non ha fretta di andare; nonostante ciò, restava comunque un camion speciale, in grado di tratteggiare straordinarie piroette nell’aria, parabole senza senso, anche pericolosi giri della morte, come un caccia dell’aeronautica che dà spettacolo. Il piccolo Diego accompagnava le sue traiettorie con rumorosi versi che imitavano il motore, lo portava sempre con sé, nello zaino o nella tasca del giubbino, e da lui mai si separava; gliel’aveva regalato il padre una mattina d’inverno, sotto il cavalcavia del rione s’era chinato davanti al suo viso e gli aveva ammiccato mentre tirava fuori il modellino, e poi gli aveva giurato che presto l’avrebbe portato su un camion vero, di quelli che guidava lui. Ma non era accaduto, perché pochi giorni dopo l’avevano arrestato. A nove anni Diego sapeva tutto di autocarri e poco di suo padre, che in casa non c’era stato mai. E cosí gli era parso che ad amare i camion, e a tenerseli vicino, gli riuscisse in qualche modo di tenersi vicino pure il papà, che una parola d’amore non gliel’aveva saputa dare, ma che da piccolo lo portava sulle spalle, e da lassú a Diego sembrava che la vita fosse una giostra colorata che non s’arresta. Con lo scalcinato camion tra le mani sentiva d’essere ancora a cavalcioni del padre, e s’immaginava con lui, in giro a consegnare le merci, s’intestardiva a credere che quella promessa prima o poi sarebbe stata mantenuta.

 

Abbiamo iniziato l’incontro esprimendo le parole chiave del libro  che  guidano la condivisione delle riflessioni durante la discussione sul libro.

Raccolte  in un unico  pannello le parole chiave riescono a dare una significativa visione di insieme del libro.

Già dal momento iniziale dell’individuazione delle parole chiave si è animato un confronto vivace e sentito sulle tematiche del libro che è risultato fortemente toccante per tutte.

Come di consueto, riportiamo di seguito alcuni appunti  di discussione e di approfondimento  utili  per chi ha partecipato e per chi non ha potuto partecipare, per chi ha letto il libro e per chi non ha potuto leggerlo.

 

“Le madri non  dormono mai”, soprattutto quelle rinchiuse in un ICAM, soprattutto se hanno dei figli fragili e nessun aiuto dalla famiglia o dalla società. Madri nate e cresciute in quartieri difficili, abituate a subire la violenza nei modi, se non anche fisica, degli uomini, sin dall’infanzia. Madri come Miriam, Amina, Anna, Dragana.

Protagonista del romanzo non è però una madre, ma un figlio: Diego, figlio di Miriam, la cui unica colpa è di essere nato nella famiglia e nel quartiere sbagliato. Diego è un bambino buono, sensibile e premuroso con tutti. Miriam cerca di indurirlo perché sopravviva nel suo ambiente, e seppure con mille difficoltà, cerca di indirizzarlo verso il bene “le venne da chiedersi se un giorno avrebbe smesso d’essere dolce e buono,…se finita l’età bambina si sarebbe mischiato al popolo degli uomini inferociti che riversano sulle femmine la violenza ereditata. Se l’esempio di suo padre, prepotente e aggressivo non tanto con le mani quanto nei modi, avesse già attecchito in lui, o se ci fosse ancora il tempo di salvarlo…Miriam ebbe la lucidità e l’intelligenza di chiedersi anche se a essere tossico, per Diego, non fosse il suo stesso insegnamento, la violenza e la paura che erano anche sue, o magari l’accettazione passiva di quel ruolo subordinato che tentava invece di far passare per amore e pazienza. Si chiese insomma quanto ci fosse, di colpa, nelle madri di quei maschi violenti, che pretendevano venerazione e obbedienza. Quante responsabilità avessero le donne nel perpetrare un sistema patriarcale continuando ad allevare figli maschilisti.”

Il romanzo è pieno di storie di adulti con una vita complessa, ognuno ha i suoi pensieri ed i suoi dolori: carcerati e carcerieri siamo tutti esseri umani con fragilità, insoddisfazioni e disillusioni. Come Miki, una vita a prendersi cura di un fratello disabile, un matrimonio che non soddisfa più né lui né sua moglie, un figlio col quale non è mai riuscito a creare un rapporto. Una vita infelice e insoddisfatta “il Natale per lui era assenza, non di quel che era stato, ma di quel che non era divenuto” (p.63)

C’è anche Greta, la psicologa, che avrebbe bisogno di curare prima se stessa e la sua vita, ed in parte lo fa aiutando le donne dell’ICAM a sfruttare l’esperienza del carcere per una crescita personale. Poi ci sono i bambini del carcere, gli amici di Diego: Melina, Gambo, Adamu, Jennifer. Bambini costretti a vivere in una gabbia che, nonostante tutto, per molti è stato l’unico posto in cui si sono sentiti felici ed al sicuro. Diego lo scrive a Melina, nella sua ultima lettera: “a me pare che nella vita ho incontrato solo gente cattiva che non mi ha mai capito a me…vorrei che tutti tenessero la dolcezza tua, perché il mondo sarebbe un posto bello assai. E invece così io non l’ho capito se mi piace. Però quando mi viene la tristezza apro il quaderno e leggo le parole belle una a una e mi pare di vederle…e davanti agli occhi mi appari tu e mammà, e anche quei giorni belli, e così la tristezza mi passa… A volte mi pare che quella cella è stata l’unica casa che ho avuto.”

Perché per questi bambini “fuori” è difficile starci, o ti adegui o non sopravvivi, e allora Diego si è adeguato, non ha avuto scelta, lo Stato e la società non gli hanno dato la possibilità di scegliere la vita che avrebbe voluto. Strappato alla madre, viene affidato ad una zia che non può prendersi cura di lui, nel quartiere dal quale lui sognava di fuggire, nel quale  aveva solo sofferto. La storia di Diego non è quella di un film a lieto fine, ma una storia realistica, di un bambino che nella vita non incontra mai la persona giusta, che per lo Stato è solo una pratica da evadere, un bambino, come purtroppo ce ne sono tanti, per il quale il destino è scritto dalla nascita. E puoi essere il bambino più buono e gentile del mondo, ma se ti senti solo, non accolto, invisibile, finisce che ti leghi a chiunque ti faccia sentire parte di qualcosa e ti faccia smettere di avere paura. “…mi hanno chiesto di stare con loro e ho detto di sì, se no quelli mi pigliavano a mazzate, anzi, m’ammazzavano proprio e io poi come facevo? Io tengo da aspettare mammà, e tengo pure da trovare a te… Con loro mi sento forte, Melina, è come se con loro niente mi fa paura, niente può farmi male, mi sento forte. E io che ci devo fare, io qua sto solo e devo trovare un modo per andare avanti, perché mi so scocciato di tenere paura.”

Ho veramente apprezzato la scrittura di Lorenzo Marone, piacevole, fluida. Il contenuto è forte, triste, apre a tantissime riflessioni, sulla vita in generale, sulla vita dei bambini in carcere, sui destini sfortunati di bambini che non hanno possibilità che per i nostri figli sono scontate, come quella di scegliere chi diventare.

Nel nostro incontro è stato evidenziato come siano pochissime le figure che ottengono un riscatto finale, ma questo per me fa parte della vita, non tutte le vite sono un bel film, anzi, credo che solo una minoranza di persone abbia questa fortuna, e comunque anche nella più felice delle esistenze non mancano dolori e delusioni. 

Manuela R.