Giovedì 20 Aprile 2023 presso la Sala Riviera Dannunziana  dell’Aurum di Pescara il Gruppo di Lettura  “Parole in Giardino” si è incontrato per parlare e approfondire la lettura personale del libro “L’amore è uno sconosciuto”.

La presenza dell’autore Cristiano Marcucci ha reso ancora più coinvolgente la condivisione di  considerazioni, riflessioni, punti di vista e, sopratutto,   delle emozioni e dei sentimenti suscitati dalle pagine del libro.

La serata, davvero speciale, ha raggiunto l’apice quando ha preso la parola l’autore che, fino a quel momento, aveva seguito con grande interesse e attenzione tutti gli interventi dei componenti del gruppo presenti e online.

Don Cristiano ha ringraziato il gruppo perché le riflessioni proposte gli erano servite a ripercorrere, quasi in un viaggio interiore, il suo stesso testo rispecchiandosi negli occhi dei lettori. I messaggi più importanti veicolati erano stati colti perfettamente: l’amore vero non bisogna cercarlo, è lui che viene, non bisogna sorreggerlo perché è lui che regge le persone, gli incontri della vita cambiano la vita stessa. L’autore ha ricordato che è stato così anche quando ha scritto gli altri suoi libri “Le nove impronte dell’anima – Un enneagramma biblico” e “Dannati”.

Don Cristiano ha poi descritto per sommi capi la genesi del libro e di come il risultato lo abbia in qualche modo sorpreso: è stata l’anima a suggerire alla penna come tradurre il suo lavoro interiore e le sue esperienze concrete.

Volentieri riportiamo  la pagina di Metronews 24 che parla del nostro incontro del Gruppo di lettura con l’autore.

Trama.

Il  libro è un romanzo autobiografico che si compone di  sette racconti  relativi   alla sua esperienza di trasformazione collegati a sette incontri lgbt: storie coinvolgenti che parlano di baratri, paure, mancanze, blocchi, ma anche di  umanità, dolore, bisogno di amore e di accoglienza, capaci di attraversare e  di far  scoprire parti di sè.

Incipit

Quei primi giorni mi sentivo spaesato, recluso, sen­za forma. Il nulla intorno a me. In un verso in un silenzio assordante, un deserto infinito, un vuoto ancestrale.  Un tempo senza tempo. Mi chiedevo perché questo fosse ca­pitato proprio a me, abituato a correre e a pedalare per riempire compulsivamente le giornate. A soli sette mesi, piccolissimo, iniziai a camminare e, da allora, non sono più stato fermo. Persino in seminario riuscii a inzeppa­re gli spazi e il tempo: studio, preghiera, servizi di ogni genere, partite di pallone quotidiane. Addirittura il bal­lo in camera. Continuamente preso in attività fisiche, mentali ed emotive. Ma all’epoca ero troppo scollegato per capirlo.

E poi, all’improvviso, la vita – non voglio scomodare Dio – mi chiese di fermarmi. Mi appoggiò sul verde dei prati, degli orti e della campagna. Mi immerse nel blu del mare, in lontananza. Colori che intuivo bellissimi ma anche troppo penetranti, talmente potenti che mi attraversavano. Mi sentivo all’interno di un dipinto, bloccato in quel paesaggio. Incapace di contemplarne la bellezza, proprio io che la cercavo da sempre.

Mi ritrovavo confinato in un paesino isolato e sen­za vita. Una piazza deserta e quattro  panchine piene di ruggine, ammaccate, mi fissavano beffarde. Un solo bar sfigatissimo degli anni Settanta, anzi forse ancora più vecchio. Poche anime, tutte sfuggenti. Neppure un animale in giro, passaggi fugaci. Mi sentivo frastorna­ da quella quiete. In quel vuoto enorme, ogni legge­ro movimento era amplificato. Un piccolo calcio dato a una bottiglia di plastica risuonava ovunque. Ogni respiro pareva un uragano.

Quella situazione mi riportò al paesino dei miei nonni paterni, dove fui confinato dai miei genitori. Lì trascor­revo le giornate a giocare da solo, inventandomi di tut­to pur di vivere: scortecciare alberi, tirare le more con la cerbottana alle macchine di passaggio; rubare gli attrezzi del nonno contadino; andare in bici sul lungofiume in mezzo alle pietre, per poi entrare in acqua, catturare ani­mali e spezzettarli, ancora vivi. Tirare sassi dentro le fine­stre aperte dei vicini e poi scappare. Spaventare i nonni e gli zii nascondendomi sui rami degli alberi o dietro un muro. Insomma, mai qualcosa di normale. Una volta, ebbi il coraggio di rubare una gallina per ucciderla con le mie mani, tirandole il collo.

La lettura del libro ha destato molto interesse tra i componenti del gruppo che hanno espresso una  varietà di interventi  a volte contrastanti.

Come di consueto abbiamo iniziato l’incontro esprimendo le parole chiave del libro  che  guidano la condivisione delle riflessioni durante la discussione sul libro.  Raccolte  in un unico  pannello le parole chiave riescono a dare una significativa visione di insieme del libro.

Di seguito riportiamo alcuni appunti  di discussione e di approfondimento  utili  per chi ha partecipato e per chi non ha potuto partecipare, per chi ha letto il libro e per chi non ha potuto leggerlo.

L’Autore, parroco della chiesa della Visitazione di Maria a Pescara, scrive di storie dolorose, raccolte da incontri con persone LGBT che hanno subito incomprensioni e discriminazioni a causa della loro identità. L’approccio fraterno del prete ai problemi di “uomini accartocciati dalla vita, frantumati e disperati” (17) risale a diversi anni fa quando oltre ad essere membro attivo del consultorio diocesano locale, supportava separati e divorziati anche riaccompagnati. Questo impegno, criticato nell’ambito religioso tradizionale, che considerava queste persone irregolari o appestati, lo ha poi esteso verso gli LGBT,  convinto di essere nel giusto grazie agli insegnamenti del suo padre spirituale che prevedevano essenzialmente il rispetto nell’esercizio pastorale delle tre T : tenerezza, trasparenza, tolleranza.

Don Cristiano si fa prossimo con Mara (19-36): nato maschio -Giorgio- fin da piccolo si sente donna, non ha un supporto familiare, è disorientato, vive tante disavventure sessuali, finisce sulla strada, si opera per cambiare sesso, ma continua a vivere ai margini, con atteggiamenti provocatori, elemosinando e ubriacandosi. Don Cristiano compie un crescendo di azioni volte ad offrire a Mara comprensione e accoglienza: dal tempo dedicatole per conoscere la durezza del suo vissuto, all’invito ad entrare in chiesa noncurante della curiosità delle “spie donne del paese”, fino a definire in un’omelia “l’umanità come unica via della spiritualità “ (30), alludendo a Mara e dichiarandosi suo amico.

Lo stesso terreno di sostegno Don Cristiano lo offre ad un altro derelitto capitato in quella comunità per il funerale del padre. Anonimo di fuoco, così lo chiama (37-53) perché non ne conosce il nome, è stato cacciato di casa da giovane quando ha confessato la propria omosessualità; per trenta anni è stato rifiutato dal padre soffrendo in modo indicibile per la perdita e per l’abbandono. Ciò nonostante ha voluto pietosamente rivederlo da morto. Don Cristiano riesce a consolarlo per la criminalizzazione di cui è stato colpito e con una confessione commovente lo rialza e lo riabilita a nuova vita.

Il caso di Marta (55-74) è quello di una donna di 22 anni che si sente fin da piccola maschio e vive questa condizione con genitori -cristiani praticanti- che la ostacolano in tutti i modi. Da qui la vergogna per una condanna spietata che la spinge a chiedere aiuto a Don Cristiano nel corso di un convegno: “Se Dio è amore e lascia libero l’uomo, può perdonare la scelta di cambiare sesso?”. La risposta: “Lo Spirito Santo non sai da dove viene ne’ dove va. Non ha identità sessuale. Il problema non è Dio, siamo noi” dimostra ancora una volta la piena accettazione nei confronti di un orientamento sessuale “diverso” e l’impegno a creare un clima inclusivo per chi vive soffocato da muri che paralizzano la libertà.

Seguono nel libro le storie di tre coppie di omosessuali:

Valentina e Anna (75-95), frequentatrici attive della parrocchia di Don Cristiano e messe all’angolo da quella comunità quando si scopre il loro rapporto d’amore. Don Cristiano consola le ragazze, le sollecita ad essere consapevoli delle proprie fatiche e ad affidarsi l’una all’altra; ciò le porta a crescere e a meglio gestire la potenza della passione che le coinvolge prendendosi le proprie responsabilità, senza scappare perché contrastate da un mondo esterno , che col tempo potrebbe comprendere la bellezza del percorso fatto.

Noah e  Simone (97-122): il primo è un ex prete che scopertosi omosessuale attraversa tante esperienze, tutte fallimentari e tormentate, il secondo, Simone, non riconosciuto dal padre che aveva messo incinta la mamma 16 anni, è rifiutato dalla madre quando scopre la sua diversità. Insieme danno un’energia nuova alla parrocchia mettendosi al suo servizio con attività di carattere tecnico organizzativo (Noah) e con la creazione di un coro che fa fare un salto di qualità alle celebrazioni (Simone). Don Cristiano segue amorosamente questo processo, tutto è il risultato di tenere la porta sempre aperta perché chi si perde possa essere aiutato a riprendere il suo cammino circondato da umanità.

–  Carla e Gabriella (123-143), conosciute casualmente dall’Autore al di fuori dell’ambiente parrocchiale, sono una coppia che ha avuto esperienze difficili ormai superate e godono di un rapporto di amore equilibrato e pieno di armonia. Scrive Don Cristiano “avevo compreso come emanassero una luce diversa, quella di chi ha purificato i propri occhi con le lacrime. Occhi che hanno pianto, pertanto sanno vedere” (132). E quando l’esuberante Gabriella, nel corso di una festa, annuncia le nozze con Carla e gli chiede la benedizione, Don Cristiano non si sottrae e invita i presenti “ a dire bene di loro e a inviare con le parole e con il cuore un raggio di luce “ perché, aggiunge, “Dio abita ovunque, basta lasciarlo entrare”.

L’ultima storia del libro riguarda Ema (145-164),  un personaggio fuori dal comune, anticonformista e appariscente, cresciuto con tre genitori immaturi (due padri, perché concepito fuori del matrimonio, e una madre debole) incapaci di capire il suo rifiuto del perbenismo familiare e quindi incapaci di accoglierlo. Dopo un ‘ importante delusione amorosa sceglie con convinzione di non legarsi più. Ricorre al nipote perché sa di dover morire per un tumore e vorrebbe il conforto di riabbracciarlo, di passare del tempo insieme, di chiedergli un funerale laico. E Cristiano non può che accontentarlo; alla sua morte compie un grande atto di fede parlando di lui come un uomo ricolmo di spirito vitale, inviato da Dio in modo assolutamente strambo, come Gesù, per portare un annuncio di liberazione e per affrancare gli uomini chiusi nelle gabbie del conformismo e del perbenismo …(154).

Queste storie fanno conoscere più da vicino l’inferno vissuto dagli emarginati LGBT e l’impegno instancabile e misericordioso di Don Cristiano. Ma la preziosità del libro è anche nel fatto che i “diversi” intercettati dall’Autore hanno messo a nudo la sua anima.

Don Cristiano racconta come sia stato colpito al cuore dalla estrema semplicità di Mara, dalla sua spontaneità a “picconare” la gente (25) e a considerare tutti allo stesso livello. La libertà di esprimersi della donna lo spinge ad un esame di coscienza, lui  prete innovativo dotato di un carisma così grande da riempire chiese e altri ambienti con la sua presenza, si riconosce vuoto nel suo narcisismo da persona colta, così dipendente dallo sguardo altrui. Con Mara impara che il “sapere del cuore non è frutto dell’ erudizione” ma “È una sapienza dell’anima che nasce come il germoglio della terra nera. Il dono della scienza dello Spirito Santo appartiene a chi è vissuto, non al saputo” (34 e 35).

L’incontro con l’ Anonimo gli fa scoprire il senso di abbandono che si porta dietro dall’infanzia quando soffriva per l’assenza dei genitori che, per necessità lavorative, lo parcheggiavano dai nonni. La perdita lo ha convinto nel tempo INCONSCIAMENTE di non valere,La coppia di lesbiche Valentina e Anna gli fanno scoprire quanto potente possa essere la passione, lui che è stato incapace di relazioni intime e profonde. Ammette di essersi costruito un bigottismo sotterraneo che l’ha tenuto, per difesa, ai margini della emotività che nasce dal potere fisico. La confidenza delle due donne di mostrarsi “con la propria pochezza e le proprie storture “ (91) ha fatto esplodere la sua misericordia, in un rapporto di vera intimità, riconoscendo  valide le accuse di una delle due (90).

Anche Noah e Simone sono una fonte di rinascita per l’anima di Don Cristiano perché l’ex prete (Noah) gli dimostra con le sue disavventure cosa significa assumersi le responsabilità senza attribuire agli altri la causa dei propri errori. Da qui per l’Autore la valorizzazione coraggiosa del suo credo, superando la paura di esporsi.Carla e Gabriella lo aprono ad un mondo che non è tanto quello della loro omosessualità -ormai accettata e manifestata senza falsi pudori- ma quello che racchiude nuovi approcci spirituali e l’armonia dei riti orientali. Con umiltà Don Cristiano segue i suggerimenti di Carla che gli rivelano la potenzialità del suo corpo, sacro frutto del Creatore (129), sentendone ogni cellula attraverso l’inspirazione e liberandolo dalle tensioni attraverso l’espirazione. Questi esercizi di respirazione gli fanno prendere coscienza fisica di come funzioni il suo organismo, trascurato da mille pensieri e dal correre del quotidiano. Comprende che prendersi cura del proprio corpo è fondamentale per l’anima. Per questo scrive che le due donne sono state messaggere di Dio nella sua vita (135). L’incontro con Ema è illuminante perché lo svincolarsi dello zio dal sistema familiare insegna a Don Cristiano ad abbandonare l’illusione di cercare la vita nelle cose esterne, sollecitando una ricerca all’interno. “Impari che essere amato è niente, mentre amare è tutto. Lasci andare la tua parte razionale, umana, limitata che si identifica con gli attaccamenti alle realtà del mondo per immergerti in Dio”. La solitudine e i silenzi che sembrano inaccettabili per i più, diventano per lui un motivo di resurrezione, un collegamento diretto con la sua anima. di non essere meritevole di amore, ecco perché fin da piccolo ha cercato di piacere agli altri per ottenere la loro benevolenza. Questo incontro ha fatto venire in superficie il suo dolore atavico per l’abbandono, il riconoscimento di questa fragilità lo spinge ora a cercare dentro di se’ ciò che disperatamente ha chiesto agli altri.

Con Marta, aspirante transessuale, scopre con forza che il compimento della vita non è il successo, ne’ la perfezione, ma l’accoglienza dell’impotenza e dell’ imperfezione. Spesso la strada è guidata da persone che non rispettano l’altro e impongono un cammino tra stretti binari. Si può diventare capaci di seguire la propria strada solo se non ci sono condizionamenti. La ricerca di se stessi va fatta a prescindere dall’esterno che attraverso i doveri crea i muri che paralizzano la libertà di scelta. Nulla può andare bene se non siamo noi a dire “vado bene” (69).

Daniela C.

Il libro fa pensare anche al rapporto che ognuno di noi può avere con il mondo LGBT e dà da riflettere. Molto bello il fatto che ognuna delle persone incontrate si sia sentita accolta, amata per quello che era e non per quello che avrebbe potuto essere, anche questa è una forma di amore spesso sconosciuto al giorno d’oggi, da parte di tanti. Tutti coloro che sono stati raccontati hanno una storia da ricordare, però Mara è quella che mi ha colpita di più, fin dall’inizio – ancor prima di sapere che aveva un ruolo nella parte finale del libro – forse perché oltre ad essere lei a dare tanto è evidente che nel suo cuore da questo rapporto aveva anche ricevuto un po’ di quell’amore profondo cercato e mai trovato.

Cinzia S.

Testo emozionante, commovente perché è un narrarsi dell’autore, attraverso esperienze vissute di vicinanza a persone sofferenti psicologicamente, alla ricerca dell’ AMORE, inteso come amore verso l’altro e, quindi, accoglienza, tenerezza, bellezza degli animi, vicinanza all’altro che è fragile; perché quando si incontra l’altro fragile, che sta soffrendo, ci si conosce meglio, ci si scopre fragili perché ci svegliamo a noi stessi, perché ogni situazione di “ fragilità interiore” ci fa scoprire il significato dell’amore sotto altre prospettive ed instaura un mondo di relazioni positive.

L’aiuto attraverso la vicinanza psicologica ci fa scoprire noi stessi e ci fa star bene con se stessi e gli altri, che percepiscono di essere accolti.

La fragilità, la bellezza della natura con i suoi silenzi, la sua musicalità ed i suoi colori fanno da scenografia a questa ricerca dell’ AMORE; la bellezza della natura contemplata dalla panchina solitaria, i colloqui dell’autore con i protagonisti delle sue storie avvenuti presso la panchina sono momenti di serenità reciproca.

Nella coreografia di ogni racconto bellissima ed emblematica la poesia finale con l’esaltazione di uno dei colori dell’anima: il rosso, il verde, il blu, l’azzurro, il bianco, il giallo.

Secondo me la scommessa più grande che l’autore rivolge a se stesso, ai protagonisti, ai lettori è quella di essere fedeli a se stessi sempre.

L’esaltazione del valore del diverso, della dissomiglianza e della difformità, del non convenzionale quando nel racconto sullo zio Ema, leggiamo: “Il mondo lo hanno sempre cambiato i folli. Gli eretici, le streghe ed i ridicoli. Non le greggi”  Zio Ema, con la sua pazzia, è stato per te uno strumento di liberazione. Il racconto dello Zio Ema si conclude con la poesia “Apriti al cielo.”… alla comprensione!

Michelina Z.